Ho il piacere di presentarti una straordinaria opera: «Sacrificio di Isacco» del Caravaggio, oggi conservata agli Uffizi a Firenze.
Michelangelo Merisi prende il soprannome Caravaggio dal luogo di nascita; nella bottega di Simone Peterzano impara a dipingere dal vero e ad apprezzare la natura e lo studio degli effetti della luce, che diverranno sue caratteristiche. A Romalavora nella bottega del Cavalier d’Arpino e porta una ventata di novità rivoluzionaria: nei suoi dipinti, gli eroi della storia sacra hanno il volto di uomini e donne della strada, stanchi e feriti dalla vita. L’esperienza romana si chiude nel 1606:
durante una rissa, Caravaggio uccide un uomo ed è costretto alla fuga. In questi anni difficili anche il suo stile diventa più drammatico, lo scontro tra tenebra e luce si accentua, colori e ombre si fanno più scuri.
Per realizzare il «Sacrificio di Isacco», l’artista si ispira al capitolo 22 del libro della Genesi: si tratta di una pagina scandalosa della Bibbia perché l’obbedienza a Dio è così radicale da andare al di là di ogni principio morale. L’episodio riguarda il patriarca Abramo che vede realizzarsi la promessa di Dio: ha un figlio dalla moglie Sara, dopo averlo tanto atteso. Abramo guarda questo figlio e gioisce della paternità. Può dire a se stesso: «Dio è fedele, la sua promessa è quanto mai concreta».
La stessa voce di Dio chiama nuovamente Abramo e interrompe l’idillio: «Prendi tuo figlio, l’unico, che ami, e dammelo in olocausto». Dio scompiglia tutte le idee e la stessa vita di Abramo che, seppur con tante incertezze, è proseguita con una fede eroica. Dio parla con crudeltà: non dice «prendi Isacco» ma «prendi il figlio unico, quello che ami». Gli chiede il figlio della promessa, il figlio che gli ha dato. Sta disfacendo ciò che ha fatto. Tutto ciò è duro, assurdo.
Abramo fa tutto lentamente, quasi a prendere tempo: parte, arriva nel territorio di Moria, ferma l’asino e i servi e prosegue da solo con Isacco.
Salendo il monte, il figlio chiede «Dov’è l’agnello per l’olocausto?». «Padre mio, figlio mio» sono le parole che si scambiano i due protagonisti, un continuo richiamo a quel rapporto tanto desiderato e ora in procinto di finire. Arrivati sul monte,
Abramo costruisce l’altare più difficile della sua vita, su cui gli viene chiesto di immolare il suo figlio.
Tutto in silenzio, nessuno parla, perché non ci sono parole. Lega il ragazzo all’altare e stende la mano per immolarlo, ma «L’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: “Abramo, Abramo”. Rispose: “Eccomi”. L’angelo disse: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio”. Abramo vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio e lo offrì in olocausto invece del figlio”».
Al centro domina la figura di Abramo: è vecchio, calvo, barbuto e forte; veste un drappo rosso sangue su una veste ocra; la mano nodosa blocca la testa del figlio riversa sull’altare e nella destra tiene il coltello; ha le unghie sporche da uomo vissuto e abituato alla fatica.
Alle sue spalle è raffigurato un albero di alloro, emblema della casata Barberini, di cui era membro Maffeo, committente dell’opera: se l’alloro è simbolo di gloria e immortalità, l’albero allude al legno della croce.
Sul volto di Isacco, Caravaggio rappresenta una straordinaria smorfia di dolore, l’urlo della giovinezza che sta per essere violata; ha la testa poggiata su una pietra, simbolo dell’altare e quindi del sacrificio di Gesù. Come per il «Ragazzo morso da un ramarro», Caravaggio dà prova dell’attenzione rivolta alle emozioni e alle espressioni del volto, come coerente con la formazione lombarda e con gli studi di Leonardo sulla fisiognomica: Isacco ha la bocca aperta, si vedono i denti, la lingua e il fondo nero della gola. A fare da modello per Isacco fu il garzone Cecco Boneri, che diverrà anch’egli pittore e poserà ancora per altre opere.
Il viso interrogativo di Abramo è rivolto a sinistra, dove all’improvviso appare un angelo:
quest’ultimo ha tratti di adolescente, ma con una mano ferma e decisa afferra il braccio del patriarca impedendogli immolare il figlio.
Il volto di Abramo esprime consapevolezza per quello che Dio gli ha chiesto, ma ha continuato a fidarsi nonostante il dolore. L’angelo indica ad Abramo l’ariete da offrire al posto di Isacco: questi funge da capro espiatorio e diviene prefigurazione della Passione dell’agnello di Dio, Cristo, che si offre alla morte al posto dell’uomo per salvarlo.
L’angelo infatti compie il gesto iconografico tipico del Battista quando indica Gesù: «Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!»
La luce batte sul corpo del giovane angelo in diagonale e si riverbera in Isacco; sempre la luce mette in evidenza la lama del coltello e così l’artista mette in risalto l’obbedienza di Abramo che non esita ad offrire a Dio l’unico suo figlio; anche il volto del patriarca è penetrato dalla luce divina, forse perché continua a sperare in quel Dio che gli ha chiesto qualcosa di assurdo.
La lettera agli Ebrei rivela i suoi possibili pensieri: «Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe».
La luce fa emergere dall’ombra le sagome degli alberi e fugge lontano all’orizzonte dove si intravedono alberi e case mentre le nubi fosche si diradano: l’opera, insieme al «Riposo durante la fuga in Egitto», è l’unica di Caravaggio con paesaggio sullo sfondo e qui si tratta forse di uno scorcio di campagna romana. È una delle prime opere del soggiorno romano dell’artista, e in seguito immergerà le proprie storie sempre più nell’oscurità.
In ogni epoca, segnata da insicurezze, la fede è ancora che da certezza alla vita: Dio interviene a vietare il sacrificio – quello di Isacco e di ogni figlio primogenito, pratica diffusa in antichità – e Abramo è l’uomo che obbedisce tanto da essere trasformato: salito sul monte come padre di Isacco, scende come padre dei credenti e come esempio di fede assoluta in Dio che lo ha ricompensato con una discendenza numerosa «come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare».
Grazie per la tua cortese attenzione.
Caravaggio – Sacrificio di Isacco
